Chiunque utilizzi un telescopio terrestre o astronomico lo usa per ingrandire, cioè avvicinare virtualmente un oggetto che sta a grande distanza, per poterlo osservare nei minimi dettagli possibili per il proprio strumento di osservazione.
Un telescopio è in grado di ricevere i raggi luminosi che gli provengono paralleli dall’oggetto distante in osservazione, per formare una immagine di quell’oggetto nel suo punto focale.
L’immagine formata è piccolissima, e pertanto per essere osservata deve essere ingrandita con le lenti contenute in un oculare, e il numero di tali ingrandimenti è dato dal rapporto fra la lunghezza focale dell’obiettivo e quella dell’oculare.
Ma l’ingrandimento non è infinito, e nei soggetti luminosi puntiformi come le stelle, è limitato dal fenomeno della diffrazione, per il quale una stella è vista puntiforme fintanto che non si arriva al limite in cui la diffrazione scompone l’immagine nella cosiddetta tacca di diffrazione, costituita da un punto centrale che concentra oltre l’80% della luce, contornato dall’alternanza di cerchietti scuri e chiari di luminosità decrescente. E più la stella è luminosa, e più il punto centrale apparirà grande rispetto alle frange circostanti.
Il limite di ingrandimento nel quale l’immagine puntiforme viene scomposta nella tacca di diffrazione, è molto basso e facile da raggiungere nei telescopi di piccolo diametro di obiettivo. Ma la tacca di diffrazione diventa tanto più piccola quanto quel diametro e il potere risolvente crescono, richiedendo quindi per essere veduta, un ingrandimento via via maggiore.
La visione della tacca di diffrazione nei telescopi di maggiore diametro è quindi condizionata dalla assenza di turbolenza (comunemente chiamata e graduata come “Seeing”) sia dell’alta atmosfera, che all’interno del percorso ottico del telescopio, ove quest’ultima partecipa al peggioramento del seeing che degrada maggiormente l’osservazione ad alto o altissimo ingrandimento. Osservazione così spinta che diviene impossibile quando non si riesce a vedere la tacca di diffrazione a causa del ribollire caotico della luce della stella.
La turbolenza interna al tubo ottico è però correggibile perchè è causata dalla differenza di temperatura fra il vetro dell’obiettivo e l’ambiente di osservazione, e quindi curando l’acclimatazione delle ottiche, si rende possibile spingere l’ingrandimento fino a rendere visibile la tacca di diffrazione, e con quella visione avere la certezza di poter raggiugere la massima sensibilità al potere risolvente del telescopio, e la migliore visibilità dei minimi dettagli.
L’ingrandimento invece nei soggetti diversi dai puntiformi è limitato dall’iscurimento della immagine, ed è assai meno disturbato dal cattivo seeing.
Fatto intuitivo perché se guardiamo l’oggetto a forte ingrandimento, la sua piccolissima estensione riempirà il campo visivo.
Ma quella piccolissima estensione porterà con sé solo la sua minima frazione di luce, rispetto alla luce captata dall’intero obiettivo del telescopio.
Da questo fatto derivano due osservazioni:
– Che più si ingrandisce e più buia diventa la visione, fino ad essere inutilizzabile.
– Che per ovviare a quell’inconveniente occorre utilizzare un obiettivo più grande, che raccogliendo molta più luce, aumenterà la frazione di essa riflessa dalla piccola estensione del campo inquadrato, permettendo un più forte ingrandimento.
Questo spiega perché, contrariamente al pensiero comune che vede gli ingrandimenti primi per importanza, è ormai universalmente noto specie in astronomia dove gli oggetti osservati sono fievoli, che è fondamentale e primo per importanza il DIAMETRO dell’obiettivo.
I telescopi che forniscono le maggiori prestazioni nel senso della quantità oltre che qualità, dei dettagli osservabili, sono i grandi riflettori, che per gli astrofili sono per lo più di tipo newtoniano, montati nella semplice ed economica montatura Dobson.
Con questo non si vuole dire che i telescopi a rifrazione, che sono pur sempre di piccolo diametro per loro specifica natura e costi, siano da scartare. Ma semplicemente che essi, anche se di fattura eccelsa non potranno mai superare le prestazioni che permettono i grandi diametri realizzabili come riflettori .
Difatti i rifrattori si sono fermati nel 1897 ai 102 cm del Yerkes Observatory di Williams Bay, Wisconsin, U.S.A. Mentre i riflettori sono in continua escalation, e al momento sono arrivati ai 10.4 metri di apertura del Gran Telescopio Canarias.
Tuttavia non esiste nessuno strumento universale e perfetto per natura. E ogni tipologia deve essere gestita con le attenzioni del caso.
I rifrattori della miglior specie apocromatica corretti da tutte le aberrazioni cromatiche (che però non hanno luogo per natura in alcuno strumento a riflessione), rimangono molto indietro nelle prestazioni di ricerca nei cieli, a causa del loro piccolo diametro.
Ed il fatto che essi restituiscano eccellenti immagini di puntiformità stellare, è una caratteristica positiva legata anch’essa alle basse prestazioni limitate dal pur sempre piccolo diametro e piccolo potere risolvente.
Per converso, più si va nel grande e più diventa importante il controllo delle turbolenze presenti nella nostra atmosfera, sia nel tratto di essa che separa il nostro strumento dall’oggetto celeste in osservazione, e sia all’interno dell’ottica stessa del telescopio.
PER QUANTO RIGUARDA LA TURBOLENZA ATMOSFERICA (il già menzionato “Seeing”),
Fatta salva l’accortezza di non mettersi ad osservare su un terrazzo, un oggetto prospetticamente basso sopra la turbolenza data dal terrazzo stesso e dai tetti delle case, non c’è verso di combatterla a livello amatoriale, (salvo scegliere un luogo erboso in aperta campagna, che rappresenta il massimo vantaggio possibile in quel contesto locale).
Ma per i grandi telescopi oggi esistono dei sistemi computerizzati dotati di attuatori meccanici che deformano in tempo reale alcuni punti della cella di sostegno dello specchio secondario, in modo tale da creare una correzione/compensazione ottica temporanea e di segno opposto alla deformazione visuale causata dalla turbolenza. Si tratta di sistemi cosiddetti di ottica adattativa. E non sono alla portata del dilettante.
PER QUANTO RIGUARDA INVECE LA TURBOLENZA ALL’INTERNO DEI TELESCOPI:
Il mondo amatoriale degli utilizzatori dei grandi diametri di specchio parabolico dei telescopi newtoniani, tiene presente che essi sono ovviamente costituiti da una egual’ grande massa di vetro, la quale si trova alla temperatura dell’ambiente di conservazione del telescopio stesso, per tempi che durano fino poco prima di essere esposta al cielo notturno per la osservazione.
L’ambiente sotto il cielo notturno è dinamico e per lo più notevolmente più freddo che non l’ambiente in cui è conservato il telescopio. Quand’anche la temperatura ambiente fosse la stessa di quella dello specchio, quella esterna, specie in prima serata, e in gran parte dell’anno, scenderà in picchiata di parecchi gradi all’ora, per ridurre il suo gradiente di discesa, solo verso l’alba. Col risultato che la massa del vetro non riuscirà ad inseguirla, a causa della sua inerzia termica molto più grande di quella dell’aria, e di una conducibilità termica molto più bassa.
Uno specchio caldo quindi, sia esso di vetro comune, che di più costosi vetri a basso coefficiente di dilatazione, crea INDIFFERENTEMENTE all’interno del telescopio a riflessione, la stessa colonna d’aria calda che salendo verso l’alto crea turbolenza in tutto il percorso ottico dello strumento.
E tale effetto è durevole fino a che la temperatura dello specchio si sia raffreddata raggiungendo l’equilibrio con la temperatura dell’ambiente esterno. Cosa che nella normalità dell’andamento dinamico delle temperature notturne, al confronto con inerzia e conducibilità termica del vetro, in pratica non può avvenire, e non avviene mai, salvo nel momento della inversione termica vicina all’alba.
Va da sè che l’uso del costoso vetro a basso coefficiente di dilatazione, rappresenta un vantaggio marginale per l’astrofilo, a confronto di quello molto elevato che ha il fabbricante dello specchio, per il fatto che non deve attendere ore di acclimatazione per poter eseguire attendibili test di qualità produttivi in corso di fabbricazione.
Ed altrettanto va da sè che occorre cercare di aiutare la eliminazione della turbolenza, in mancanza della certezza di poter raggiungere l’equilibrio termico specchio – ambiente.
La TURBOLENZA nel percorso ottico è ben percepibile e distinguibile da quella atmosferica perché individuabile a vista con il cosiddetto “Star test”, che presenta il ribollire dei punti stellari in visione intrafocale.
Se non viene corretta la turbolenza, che è la causa del ribollire della immagine al telescopio, essa impedisce di fatto l’osservazione dei particolari planetari ad alto ingrandimento, o la separazione di stelle doppie vicine; mentre nel profondo cielo disturba meno, ma impedisce la migliore puntiformità delle stelle, sempre in modo compatibile con la loro magnitudine.
Pertanto la turbolenza strumentale va combattuta adeguatamente.
Fatti salvi i rarissimi casi stagionali in cui il gradiente di caduta della temperatura ambiente del luogo di osservazione è molto basso, e soggetto a temporanee inversioni, nelle quali il raggiungimento dell’equilibrio termico risulta possibile; In tutti gli altri casi, il precipitare in prima serata delle temperature, e il suo gradiente notturno di diminuzione continua, fa sì che, confidando unicamente nella sola convezione atmosferica, l’equilibrio termico cercato non venga mai raggiunto ma solo approssimato (maggiormente negli specchi piccoli, grazie alla loro massa ed inerzia inferiore).
Questa affermazione è frutto delle mie rilevazioni sperimentali di dati di temperatura ad intervalli di tempo regolari, in seguito alla installazione tuttora attiva nel mio 360F5, (vedi galleria di foto a fine articolo), di due sonde termometriche, una liberata dal suo guscio autoadesivo, messa a contatto dello specchio primario, ed una misurante la temperatura ambiente, utilizzando un normale termometro digitale per auto.
(Ho usato un termometro digitale per auto da 12 euro con sonda interna al display, ed esterna alla cima di un cavetto, il tutto funzionante per anni, con una unica pila a bottone interna al display. Non ho quindi utilizzato la tensione di 12 volt prevista per la retroilluminazione azzurra del suo quadrante, tagliando via il relativo cavetto.
La, soluzione del problema può venire dalla tecnica di confinare costruttivamente lo specchio primario, in una cavità chiusa posteriormente dalla presenza di un aspiratore, mentre attorno al bordo anteriore dello specchio è installato un diaframma di diametro pari a quello del primario, e posto ad una distanza dalla superficie riflettente sperimentata, e tale da creare una fessura circolare, la cui strozzatura (grazie a Bernoulli ed a Venturi), aumenta la velocità del flusso aspirato dalla depressione posteriore prodotta dall’aspiratore, asportando con efficienza la turbolenza dal percorso ottico.
Attraverso quella fessura circolare, l’aspirazione posteriore risucchierà l’aria calda, avvicinandosi sempre più ad assottigliare per raffreddamento, lo strato limite giacente a contatto con la parte riflettente dello specchio caldo.
Con questo sistema si otterrà un più efficiente inseguimento della caduta di temperatura ambiente da parte della massa dello specchio primario, finchè la sua temperatura SI AVVICINERA’ a distanza solo di qualche grado da quella ambiente, pur non riuscendo ad eguagliarla.
A quel punto, l’effetto della aspirazione si renderà immediatamente visibile all’oculare con la comparsa degli anelli di diffrazione nello star test, al momento della sua accensione; e la scomparsa allo spegnimento.
L’accensione infatti provvederà ad una immediata “pettinatura” dei resti di turbolenza presenti davanti allo specchio, convertendoli in un costante e ordinato flusso radiale laminare, che provocherà una immediata buona visione attraverso di esso, non più disturbata da alcun ribollimento, nonostante il primario del telescopio non si trovi in perfetto equilibrio di temperatura con l’ambiente.
Ed è comunque rimanendo in quel margine di tolleranza di 4 o 5 gradi centigradi che il telescopio manterrà le sue migliori prestazioni, testimoniate dalla visibilità all’oculare della tacca di siffrazione.
VENIAMO QUINDI ALLA VENTOLA DI ASPIRAZIONE
Dico “l’aspiratore” al singolare, perché è molto meno efficiente mettere più ventole di aspirazione, le quali sommano i consumi e le proprie vibrazioni che danno fastidio ai massimi ingrandimenti. Oltre a generare immancabilmente indesiderati “bisticci di più turbolenze incrociate” che trasformano il guadagno in una perdita.
L’aspiratore quindi è praticamente un ventilatore assiale, del tipo di quelli presenti per il raffreddamento dei computers. Una delle marche migliori è rimasta la germanica EBM PAPST, di cui on-line forse è ancora possibile scaricare un interessante catalogo pdf. Ma oggi quegli oggetti arrivano dalla Cina a prezzi destabilizzanti qualunque produttore europeo.
Le loro misure sono diverse, ma la più comune e quindi al prezzo di meno di 10 euro, ha una struttura quadrata 80x80x25mm, che contiene una girante diametro 80 mm e 25 mm di spessore; Alimentazione 12 volt CC, ma da catalogo di solito sono date funzionare ugualmente bene con tensioni di alimentazione dimezzate, oppure maggiorate del 25%.
Uno spessore maggiore della ventola aumenta la portata a parità di velocità, e così anche il diametro. Ma è sempre consigliabile di installarne una sola, anche se talvolta con specchi di forte spessore, possa essere utile sperimentarne anche una anteriore che spazzi la superficie riflettente in modo diametrale.
Le basse velocità di rotazione (1500 giri) sono da preferire, evitando di acquistare ventole ruotanti su cuscinetti a sfere, preferendo al loro posto quelle giranti su boccola di strisciamento (“bronzina” in materiale plastico), perché la rumorosità intrinseca dei cuscinetti è sinonimo di seppur minime vibrazioni indotte anche al telescopio.
Il mio aspiratore l’ho scelto con potenza 2.5 watt; Consumo di corrente di poco inferiore ai 200 milliamper; Portata d’aria di 33 metri cubi per ora. velocità di rotazione di 1500 giri al minuto.
In un articolo presente su questo medesimo blog, descrivo l’alimentatore a due velocità, senza uso di elettronica, ricavato dalla modifica al faro che utilizzo talvolta per il montaggio del telescopio sul campo.
Alcune immagini di argomentazioni citate nel presente articolo.