L’argomento auto-costruzione di un telescopio, ad un certo punto della sua progressione comporta di effettuare delle scelte concatenate, in cui la pupilla dell’occhio condiziona la determinazione del minimo ingrandimento ottenibile con un oculare “cercatore” o a largo campo; dal quale deriva il dimensionamento del campo di piena luce (Field Of View) da predisporre, e quindi la scelta del tipo di focheggiatore se da 1.25″ oppure da 2″, ed infine determina le dimensioni dello specchio secondario.
Tutto ha un prezzo, e da queste scelte viene condizionato in modo diretto anche il peso finale dello strumento col quale occorre poi fare i conti di adeguato bilanciamento e/o facilità di trasporto.
La nostra passione per l’astronomia ci porta osservare le meraviglie del cielo attraverso l’uso di binocoli o telescopi, verso i quali abbiamo mille cure, finalizzate ad ottenere da essi le migliori prestazioni possibili. In questo intento, capita spesso (ed è capitato anche a me), di prendere solo tardivamente in considerazione che anche l’occhio umano è uno strumento ottico, forse conosciuto meno bene di quanto non lo sia il nostro telescopio. Anzi, l’occhio è l’obiettivo dello strumento ottico più importante che possediamo, con i suoi pregi e purtroppo anche i suoi molti difetti.
Lasciando da parte i difetti della vista che sono molto personali, ci si può concentrare sulla caratteristica generale che regola le prestazioni e l’ “apertura” di questo particolare obiettivo ottico, che come tale deve lasciar passare attraverso quel diaframma che è l’iride, il fascio di luce che comporrà la immagine sulla nostra retina.
La variazione delle dimensioni di quel foro o diaframma fisiologico, produce la “pupilla di entrata” di questo nostro naturale obiettivo.
E’ noto che un essere umano di giovane età possiede un occhio il cui iride è in grado di dilatarsi nell’oscurità fino a presentare una pupilla di 7 mm di diametro, che appunto configura la massima pupilla “di entrata” dell’occhio giovane. Ed è pure noto che la pupilla umana, con l’invecchiamento è soggetta a stenosi che via via ne limita sia la velocità di adattamento che la sua dilatazione massima nella oscurità, arrivando solo più a un massimo di circa 5mm.
Per converso, in piena luce la pupilla si restringe fino al diametro di circa 2 mm. Ovviamente questa “pupilla di entrata” costituita dal nostro occhio, è importante che possa permettere il passaggio di tutto il fascio di luce e di informazioni, che viene fornito da un telescopio o binocolo o altro strumento ottico in uso.
Telescopio o binocolo che come tale è pure esso caratterizzato dal poter fornire all’occhio una sua “pupilla di uscita” di una certa dimensione, che è di fatto il diametro del fascio di luce che esso è in grado di lasciar passare. Ed è pari al diametro dell’obiettivo diviso per l’ingrandimento.
Quindi: Un binocolo con obiettivo diametro 50mm che fornisce 8 ingrandimenti avrà una pupilla di uscita diametro (50/8)= 6.25 mm
La pupilla di entrata del nostro occhio non dovrebbe quindi mai avere diametro minore del fascio di luce fornito in uscita da uno strumento in uso, perchè in quel caso (vedi figura), l’occhio perderebbe parte della luce, e con essa, parte delle informazioni fornite da quello strumento.
In altre parole, perdere parte della luce fornita dal telescopio, equivale fisicamente a non riuscire ad utilizzare tutta l’apertura del suo obiettivo. E non poter utilizzare tutta la sua apertura equivale a guardare attraverso uno strumento diaframmato, cioè penalizzato dal nostro occhio.
In un esempio pratico di diaframmatura:
Se io che non sono più giovane, possiedo occhi con una pupilla diametro 5 mm, e il mio binocolo 8×50 fornisce un a pupilla di uscita di 50/8=6.25 mm; Nel mio occhio potrà entrare solo la frazione di luce pari ai 5/6,25 (= solo l’ 80%) della luce totale fornita dal binocolo, e il resto quindi andrà perso.
Quella perdita significa che per il mio occhio, quel binocolo non presenterà più un’apertura utile di 50mm, ma essa sarà minore, e cioè diaframmata all’80% di 50mm, che sono 40mm…Col risultato che attraverso a quella apertura ridotta a soli 40mm, io vedrò una immagine del 20% (cioè un quinto) più buia e meno dettagliata di quella che vedrebbe un giovane, attraverso il mio stesso binocolo.
E questo ragionamento è molto utile a noi astrofili per destreggiarci alla scelta degli oculari giusti e più performanti per noi, in base alla nostra reale pupilla.
Quale focale di oculare equipupillare col mio telescopio avrà per me il massimo rendimento?
Supponiamo di avere un riflettore Newton con obiettivo diametro 360mm che possiede una lunghezza focale di 1830mm, e di aver misurato la pupilla del mio occhio “geriatrico” diametro 5mm.
Il rapporto fra i due diametri di apertura vale il numero puro 360/5=72 volte
Dovrò quindi cercare un oculare che mi dia quell’ingrandimento di 72 volte.
Sapendo che l’ingrandimento dato da un telescopio è uguale al rapporto della lunghezza focale dell’obiettivo, diviso per la lunghezza focale dell’oculare impiegato; e quindi inversamente, che il rapporto fra la lunghezza focale del telescopio e l’ingrandimento, mi darà la lunghezza focale dell’oculare.
Nel mio caso sarà 1830 mm / 72 = 25 mm, la focale di miglior rendimento.
Ogni oculare di lunghezza focale maggiore di 25mm fornirà al mio occhio un fascio di luce inutilmente troppo grande, andando inutilmente a schiarire il fondo del cielo diminuendo il contrasto.
Detto ciò, per ciascuno di noi potrebbe essere interessante misurare l’ampiezza della propria pupilla dilatata e abituata al buio.
Per svolgere in modo casalingo questa misurazione è possibile fabbricare e utilizzare il seguente regolo in cartoncino, il cui principio di funzionamento è simile a quello degli omologhi strumenti pupillometri professionali denominati pupillometro di Krusius, di Morton, etc.
Questo regolo di cartoncino è da stampare in scala 1:1 e ritagliare aprendo i 18 fori, verificando che le misure di stampa corrispondano alle reali misure delle distanze fra i vari fori.
Il regolo si utilizza nel seguente modo:
- 1) Adattare gli occhi alla oscurità
- 2) Tenere il regolo a contatto col viso davanti all’occhio, e guardare attraverso ai fori una luce la più tenue possibile (meglio se di colore rosso o tendente al rosso, che è un clolore che ha la proprietà di non disturbare l’adattamento dell’occhio al buio).
- 3) Fare scorrere il regolo lentamente, MEGLIO SE PARTENDO DALL’ESTREMO DESTRO che ha il foro distante 9 mm dal precedente.
- 4) Soffermarsi a guardare bene quando di fronte alla pupilla si presenta ogni ostacolo costituito dal cartone presente fra un foro e l’altro, perché quello è il punto di valutazione della misura (sul regolo è segnalato dalle frecce verso l’alto).
- 5) La pupilla che si dilata MENO della larghezza dell’ostacolo, vede DUE sorgenti di luce con INTERPOSTA UNA ZONA BUIA.
- 6) La pupilla che si dilata IN EGUAL MISURA dell’ostacolo, NON VEDRA’ PIU’ LA ZONA BUIA INTERPOSTA, ma vedrà due zone luminose a contatto reciproco. La pupilla in questo caso avrebbe dilatazione esattamente pari alla distanza che sta fra i due fori adiacenti.
- 7) Da quel punto in poi, l’occhio che si dilata di più del valore dell’ostacolo vedrà una unica sorgente luminosa.
Partendo invece dall’estremo sinistro del regolo, che presenta l’ostacolo largo 1 mm, si incontrerà dapprima la condizione 7 , e poi la 6 e le altre a scalare.